La mobilità urbana è una bestia da cavalcare soprattutto durante la settimana, non solo alla domenica. Lo scrivo da convinto ciclomobilista infrasettimanale e non già da appassionato ciclista sportivo, disciplina storica e ricca di fascino di cui, alla fine, ammetto di capirne poco. Assai meno di molti bravi colleghi decani o dei praticanti del settore.
«I veri ciclisti faticano e sudano». E gli altri? Dico questo perché comincio a stufarmi di leggere perfino sul Gruppo Facebook del blog Vitadueruote commenti di iscritti che se ne impipano della rivoluzione quotidiana in corso e che mi sforzo di raccontare ogni giorno, mentre invece si sperticano in commenti da bar tipo ‘le bici elettriche mi fanno schifo: vuoi mettere la pedalata, il sudore? Quello è vero ciclismo“.
La forma è sostanza. Non è essere permalosi, ma ho sempre pensato che la forma sia anche sostanza, soprattutto nell’Italia patria di una lingua unica al mondo, e quando alcuni rappresentanti di una categoria ‘bollano’ in modo generico un’altra, peraltro a loro complementare, mi si accende l’allarme rosso. Nel caso di specie, poi, pedalando io stesso ogni giorno in e-bike trovo questo muro contro muro davvero incomprensibile.
Sindrome da algoritmo. Perché parlare di bici elettriche? A meno che non stiamo scrivendo un hashtag con cui cercare di rendere i nostri articoli e post quanto più appetibili all’algoritmo di Google o sui nostri social, nella maggior parte dei casi si deve parlare di biciclette a pedalata assistita. Tu pedali (eccome!) e in base alla forza che imprimi il sensore ‘avverte’ la centralina di far intervenire il motore con più o meno energia del dovuto. Il tutto, come previsto dalla legge, fino a un massimo di 25 chilometri all’ora. Bollare questo come una diavoleria che non ha nulla a che vedere con il ciclismo, anzi a volte prendersela addirittura con chi gira in bicicletta a pedalata assistita, in strada o sui social.. nel 2023 ‘fa ride‘.
Sensazioni spiacevoli. Mi correggo: più che far ridere fa…riflettere e aumenta la mia convinzione che molti (non tutti) di quelli che vanno in bicicletta muscolare al sabato o alla domenica in realtà durante la settimana si muovano solo ed esclusivamente in auto. Credo che gran parte di loro intendano le due ruote attive l’unico modo (o quasi) di praticare sport divertendosi nel weekend.
Allora, se sono questi gli schieramenti ai blocchi di partenza, facciamo così: profiliamo per bene gli utilizzatori finali. Da un lato abbiamo i ‘muscolari’, dall’altro.. boh..come chiamarli? Chiamiamoli ciclomobilisti, ovvero quelli – come me – che intendono la bici un mezzo di trasporto sano, green e soprattutto continuativo, non l’attrezzo per praticare sport nel weekend.
Perché discriminare? E’ anche giusto ricordare che ci sono altre sottocategorie di ‘muscolari’: ad esempio chi percorre l’ultimo miglio con una bici pieghevole tradizionale a bordo treno, oppure chi pedala con una bicicletta classica dal classico punto A al punto B perché la strada che percorre è in rettilineo o in lieve pendenza. Oppure bambini e adolescenti (evviva!) alle loro prime esperienze a due ruote lente, figli a loro volta di genitori illuminati che li invogliano a sperimentare un altro mezzo di mobilità all’infuori dell’auto privata. Discriminare, etichettare come meglio o peggio gli uni o gli altri trovo che sia tragicomico oltreché ingiusto e, soprattutto, anacronistico. Una guerra tra poveri.